Saturday, May 31, 2008

Separati dalla nascita 2




Brian Eno e Mark Rucker...davvero una ODD COUPLE !!

Friday, May 30, 2008

Dio perdona..io no !




Che Geova degli eserciti abbia potuto scegliere Jose' Cura come salvatore del suo popolo lascia un piccolo dubbio anche nel piu' fervente dei credenti, ma poiche' il Dio degli Ebrei e' clemente e misericordioso confidiamo che abbia usato una buona fetta di immeritata benignita' per accettare - nel ruolo di Sansone - il bel "descamisado" (quando si parla di pazienza divina...!!!).
Ma come dice un noto film, "Dio perdona...io no !", per cui non posso sottrarmi dall'esprimere un parere tuttosommato negativo nei confronti di questo "Samson et Dalila" visto al Comunale di Bologna. L'ingresso di Cura e' notevole: felpa stile Rocky Balboa (con tanto di cappuccio sulla testa), anfibi, pantaloni scuri con tasche laterali e una meravigliosa chioma di extensions rossiccie. E subito afferra la mano di un ragazzino che sta per scagliare un sasso contro il nemico: il regista ci ricorda che chiunque in nome di Dio compia un'azione violenta (giusta o sbagliata che sia) si rende di per se' colpevole. Peccato che la lapidazione-intifada non possa avvenire...ci saremmo risparmiati una serie di evidenti nefandezze. Costumi improbabili (le gonne delle donne ebree sopra al ginocchio ??!! prigionieri con orecchini ???), coreografie banali,atmosfere pseudo-orientaleggianti che tanto ricordano lo Schiaccianoci tchaikovskyano. Del resto i buffi ed enormi cappelli a capocchia di fiammifero indossati dalle donne filistee hanno decisamente piu' a che fare con le Mille e una Notte piuttosto che con le Sacre Scritture,scivolando nella solita stereotipata visione che gli occidentali hanno dell'oriente.
Il regista procede con scelte poco condivisibili: fa cantare il povero Mark Rucker -con tanto di pettorale luminescente - in una parte remota del palcoscenico a ben 15 metri d'altezza, con scarsi risultati di visibilita' ed ascolto; allontana Sansone e Dalila nelle loro schermaglie amorose all'estremita' opposte del palcoscenico; insinua una strana somiglianza tra le due colonne del tempio distrutte nella scena finale alle torri gemelle, ricordando l'11 settembre (d'accordo che chiunque uccida o si uccida invocando il nome di Dio sia un assassino o un terrorista, ma come applicarlo nel caso di Sansone ? assurdo !!!!!!). Si potrebbe continuare ancora per molto, ma e' giusto fermarsi per permettere alla sig.ra Julia Gertseva di ricevere gli unici,grandi elogi della serata. Bella voce,grande capacita' espressiva,interpretazione credibilissima. Splendida nel 2°atto, con i suoi piedi nudi, come nella Carmen appena terminata al Maggio Fiorentino. Donna, cosa oramai risaputa, di grande bellezza. Anche il maestro Inbal affronta la partitura con entusiasmo e slancio, riuscendo ad ottenere spesso un suono deciso e compatto da un'orchestra che ha la tendenza a distrarsi. Efficace il coro, specie nel primo atto.
Tutto il resto e' bene che muoia seppellito sotto le rovine del tempio insieme ai malvagi filistei.
Il pubblico gradisce, con ovvia propensione al "descamisado" Cura che qui descamisado lo e' sul serio: dopo la battaglia iniziale il bel Jose' sfoggia una camicia nera aperta fino all'ombelico che di spirituale ha ben poco,suscitando appetiti di altra natura. Su OPERA di maggio Fabio Armiliato - nella Fanciulla del West vista a Roma- e' stato definito un tenore "riccicrinito dal fisico asciuttissimo". Dopo la visione di Cura con le sue chiome al vento non oso pensare cosa la fantasia suggerira' ai recensori del giornale...

Wednesday, May 28, 2008

The CAGE train



Siete tra quelli che accusano un diplomatico mal di testa ogni volta che qualcuno vi invita a vedere le diapositive delle vacanze ?
Io no. Forse perche' sono curioso di natura, o forse perche' ho grande stima della bravura dei miei amici in fatto di fotografia. O forse perche' spero sempre in un colpo di genio, come quello capitato alcuni anni fa a casa di G.B.
Dopo una bella sequenza di immagini newyorkesi e relativa-immancabile colonna sonora a base di Gershwin e jazz, ecco la provocazione: su musiche di John Cage (4'33'', datato 1952) ecco una serie di telaietti vuoti. Performance perfetta: su di un brano di totale silenzio ecco immagini inesistenti, solo il bianco accecante della luce del proiettore ad illuminare il muro.
La squisita accoppiata non piacque molto all'amico Andrea, forte sostenitore della non-musica di Cage; credo tuttavia che perfino al suo autore la cosa non sarebbe dispiaciuta. Proporre 4 minuti e 33 secondi di perfetto silenzio, o non-silenzio (dando quindi una durata precisa al "brano") e' di per se' un'operazione di forte impatto teorico: tutto cio' che ci circonda e' suono,musica, a partire da una finestra che sbatte, un cigolio di una porta, il colpo di tosse di un passante, il rumore del vento tra le foglie. John Cage rivendica il potere assoluto dell'ascoltatore rispetto all'esecutore. Dopo averlo "disturbato" con brani per pianoforte preparato (inserendo tra le corde oggetti di ogni tipo per distorcere il suono naturale) ecco che si arriva alla suprema provocazione del silenzio. E nel 1978, tra le vie di Bologna, vedere John Cage passeggiare in tutta tranquillita' mi diede l'impressione di avere incontrato un genio assoluto (stessa cosa per Philip Glass a New York, anche se in quell'occasione ho perfino avuto la sfacciataggine di pedinarlo).
Dopo 30 anni esatti Bologna ripropone un festival della provocazione: "Take the Cage Train 1978-2008". Di quella straordinaria esperienza di musica in movimento il sottoscritto ha un ricordo in prima persona. Ai nipoti si potra' raccontare "IO C'ERO". Ma l'evento che trasformo' nel 78 i vagoni ferroviari di un treno in una sorta di strumento collettivo fu ai miei occhi (e orecchie) di studente universitario una gigantesca delusione. Al di la' di qualche evento collaterale (ad es. bande del paese ferme alle fermate) non vi fu assolutamente nulla di memorabile, se non lasciato alla fantasia e creativita' dei presenti. Insieme all'amica Carla, presi dallo sconforto di una simile nullita',arrivammo perfino a tessere una tela di ragno di fili colorati tra un sedile e l'altro, e incollare sull'ultima porta dell'ultimo vagone un cartello con scritto "spingete piu' forte, e vi ritroverete in paradiso" (prontamente rimosso dopo che qualcuno aveva perfino preso la porta a spallate credendo di trovare chissa' cosa).
30 candeline accese quindi su questo festival del nulla, che si tinge di malinconica nostalgia per un tempo in cui perfino il nulla era qualcosa di nuovo ed insolito.
La tentazione di riprendere il treno di Cage e' forte ma totalmente disturbata da due cose: 1) ho riacquistato il piacere di ascoltare musica "concreta" 2) faccio il pendolare ogni santo giorno, e un ulteriore viaggio in treno aggiunge stanchezza e irritazione ( soprattutto ogni qualvolta il treno accumula forti ritardi).
Alvin Curran,per anni collaboratore di Cage, ha detto : "se John fosse qua, ora, sarebbe al centro del concerto, ridendo come un matto". Chissa' se Cage ha mai fatto il pendolare in vita sua..

Tuesday, May 13, 2008

Eclissi di luna

Federco Tiezzi,regista-drammaturgo-attore, conosce bene il mondo della danza e del gesto. Attentissimo al movimento scenico (ieratico, spesso didascalico) crea tableaux vivants nei quali la dimensione drammatica si respira a pieni polmoni. La "Norma" vista a Bologna (che segno' nel 91 l'esordio di Tiezzi al mondo dell'opera) procede per immagini, immersa in un settecento neoclassico in cui le pieghe dei lunghi e morbidi vestiti bianchi si accompagnano al candore delle colonne doriche presenti ai lati della scena. Eppure e' come se fossimo immersi in un film muto in bianco e nero, in cui la mano sulla fronte e il capo reclino, un braccio proteso verso il vuoto, un dito puntato verso il traditore riescono a trasmettere parole la' dove parole non servono. Non solo: Tiezzi gioca con l'opera. Norma diventa in un certo senso speculare a Turandot. Algida e potente e' pronta a mettere a morte lo "straniero" (Pollione e' un proconsole romano) ma cede alla fine dinanzi all'amore di costui. E' disposta come in Turandot a sacrificarsi, a rivelare la propria colpa, permettendo all'amato la possibilita' di redimersi-salvarsi. Oroveso, qui cieco ed accompagnato in scena da due druidi, ricorda terribilmente Timur, e ne condivide le apprensioni paterne. Adalgisa e' una Liu' abbandonata al proprio tormento di un amore diviso. Al di la' di ogni similitudine ancora una volta il gesto diventa vero protagonista: basti pensare alla scena in cui il coro cede, dopo la confessione di Norma, allo stupore prima e all'orrore poi. Un movimento lentissimo serpeggia tra i presenti, una sorte di disperato e incredulo ripiegarsi in se stessi, che si estende, dilaga, raggiunge gli altri e con gli altri diventa partecipe della tragedia. Bellissimo, nella sua esasperata evoluzione. Nella scena finale uno squarcio rosso si allarga facendo entrare una testa reclina di una statua greca (forse Medea a cui tanto la storia di Norma deve ?) mentre un sipario dorato scende improvvisamente a chiudere la scena, lasciando senza fiato per la sua prepotenza teatrale. Grandi applausi. Per Daniela Dessi' ( probabilmente amica di tanti potenti critici ed esperti del settore) il successo e' scontato, ma non mi sento di criticarne l'ottima prestazione. Non piu' giovanissima, con una voce che spesso non sorregge il personaggio, e' comunque un'ottima Norma,capace di commuovere e scuotere le corde emotive. Il suo gentil consorte, ahime', non la segue altrettanto egregiamente. Ricordo un'occasione in cui il povero tenore cadde miseramente nella buca dell'orchestra, sempre che la memoria funzioni bene, e senza dubbio una simile performance avrebbe giovato alla drammaticita' richiesta. Ahime', nessun problema. I maligni penseranno che se fosse finito sulla testa di mia moglie avrei preso due piccioni con una fava. Non mi esprimo. Buona la prestazione di Kaye Aldrich, troppo lenti i tempi di Evelino Pido'. Tutto sommato in un mondo dove pare che i direttori abbiano messo l'acceleratore a qualsiasi cosa almeno l'aspetto lirico ne esce intatto. Dietro tutto e tutti rimane la possente figura della sacra selva, un albero stilizzato, percorso da pennellate nervose come simbolo di un rito appena compiuto. E la luna, casta come sempre, eclissata da un sole accecante di profonda umanita'.

Tuesday, May 06, 2008

All'amico Guido

Di tanti terribili vizi me ne riconosco uno piu' grande degli altri: non capisco le cose che mi circondano a meno che non ne faccia esperienza diretta. Ovviamente con tutto quello che ne consegue, nel bene e nel male. Spesso la curiosita'o il desiderio offuscano la mia capacita' di ragionare in modo sano ed equilibrato, e ne devo spesso pagare le conseguenze. E ancora,nelle piccole cose, devo pagare lo scotto di mettermi sotto il microscopio per analizzare tutto, capire ogni mia singola reazione, cercare di portare alla luce ogni mia motivazione. Lavoro impervio, e tremendamente concentrato su se stessi. Ahime', in questa sorta di eterna vivisezione a cui sono sottoposto, e che spesso viene meno all'essere piu' altruisti e positivamente aperti agli altri, c'e' comunque una cosa in cui faccio piu' fatica a scrutare i miei sentimenti: la morte. O meglio, l'idea della morte, perche' fino ad ora non ho avuto modo -fortunatamente- di provarne in prima persona l'impatto emotivo. Non sono cosi' privo di sentimenti da mostrarmi cinico o freddo quando un lutto mi sfiora, ma i miei genitori ultraottantenni sono ancora in vita, le persone a me vicine continuano a starmi vicino nonostante problemi e disavventure, e anche quando capita di perdere un'amico "per strada" tutto cio' avviene senza la sofferenza di sapere che l'affetto verso di lui/lei e' mutato. Davvero la morte mi e' lontana, anche se non mi e' lontana l'idea di mostrare empatia verso chi deve subirne le tristi conseguenze. Silenzi, solitudini e difficolta' sono cose che conosco, e che temo come chiunque altro. E soprattutto esiste la paura. Una paura della sofferenza, nostra e di chi ci sta vicino. Una naturale paura che nemmeno la fede puo' sconfiggere del tutto, perche' tiene conto dei sentimenti propri di ognuno di noi. Piangere e' naturale, cosi' come a volte disperarsi. Essere senza speranza pero' puo' gettare nello sconforto piu' totale. Ed e' per questo che ogni giorno mi viene da ringraziare un Creatore che non mi ha lasciato senza indicazioni, che non vuole e non permette che io sia "inghiottito" dalla depressione piu' cupa. Non mi e' difficile parlarne con chi sente su di se' il dolore di una recente ferita, soprattutto nel momento in cui questo accade, ma capisco che anche il conforto e la comprensione hanno i loro tempi. Esiste invece una cosa che va oltre il tempo ,ed e' l'amore. Un amore che copre ogni cosa, ogni errore, ogni piccola goffagine, i nostri piccoli imbarazzi, la nostra incapacita' di dire le parole giuste e mostrarsi vicini. Ed e' questo volerti bene che oggi mi porta ad essere triste per cio' che ti e' capitato. Avremo modo di stare vicini, e di parlarci ancora. Riscontrare che le nostre parole hanno una loro dimensione anche fisica, oltre che un bel suono. Ti abbraccio, fortemente.