Friday, May 16, 2014

Victory for the comic muse

Collezionismo: c'e' chi lo vede in modo positivo, capace di sviluppare doti importanti come perseveranza, ordine, pazienza e memoria, e chi al contrario lo demonizza parlandone come di una vera e propria patologia. La ricerca affannosa dell'oggetto speciale per la propria raccolta puo' sfociare per molti collezionisti in una mania ossessiva-compulsiva. "Molte di queste persone si sentono spesso inadeguate, inutili: la collezione diventa uno sfogo liberatorio, l'accumulo compulsivo li fa sentire momentaneamente meglio, finalmente "bravi" in qualcosa ", scrive la psicologa Lòpez Torrecillas. Certo, quando il collezionismo diventa il centro dell'esistenza non e' difficile capire che si e' scivolati in una malattia vera e propria; difficile pero' pensare a Cecilia Matteucci come di una persona con bassa autostima o vulnerabile. Eccola protagonista nientemeno di una serata-evento sold out all'Oratorio San Filippo Neri, cui le cronache cittadine danno rilievo parlando perfino di un inizio di zuffa tra gli esclusi. Il sottoscritto, da sempre fan della signora (una sorta di monumento nazionale vivente alla stregua di un attore kabuki), si e' presentato con largo anticipo per gioire della ghiotta occasione. Ma ahime', nonostante l'aspettativa di una consacrazione del bello, di un' esaltazione di quanto di prezioso, raro e magico la Musa e' riuscita a collezionare nel corso del tempo, la delusione ha preso il sopravvento. Alla proiezione del docu-film a lei dedicato non solo solo ci troviamo davanti ad un prodotto piuttosto impreciso e di qualita' altalenante (brutte luci, pessimo sonoro, riprese non sempre degne di una regista professionista) ma sfugge completamente il senso di preziosita' che sta dietro alla collezione, sciorinata spesso come un anonimo elenco di marche e modelli. Solo raramente gli abiti prendono vita, non solo grazie a chi ha avuto il piacere di possederli (Shirley Bassey o Maria Callas, di cui Cecilia ha comprato ben 5 modelli) ma anche grazie alla loro fascinazione di stoffe ,tessuti, colori e forme preziose. Ma sopratutto e' la figura della nostra diva glamour, definita nel film come un'icona vivente, a generare una sorta di imbarazzante impressione. Se e' vero che trent'anni di collezionismo e la visione di centinaia e centinaia di abiti possono avere sviluppato in lei un gusto estetico apprezzabilissimo, ci si trova davanti ad una donna con dei fortissimi limiti di intelligenza e di cultura. Nulla di male nell'inseguire la vanita' degli eventi teatrali, delle inaugurazioni, dei vernissage e delle sfilate, ma se dietro alla superficie lo spessore del personaggio viene a mancare allora tutto avviene come la peggiore delle rappresentazioni. L'autocompiacimento prende il sopravvento sposandosi ad una forma di sfrenato esibizionismo; perfino la generosita' di chi si pone come "benefattrice" (Cecilia ha donato gran parte del suo patrimonio al museo del costume di Palazzo Pitti) viene offuscata dal piu' becero dei motivi :la fama imperitura dovuta a due sale a lei dedicate, e l'imbarazzante confessione che "oramai non c'e' piu' spazio fisico in casa per potere inserire altri capi". A rincarare le cose, alla domanda di perche' a Bologna non e' possibile creare una sorta di collezione privata o associarsi ad un museo esistente, la Matteucci risponde "..e poi, io amo le reggie!", costringendomi all'inevitabile applauso. Pessimo l'intervento di Eugenio Riccomini, forse invogliato piu' da un piatto di tortellini che dalla serata (sua l'ammissione di non sapere nulla ne' di moda ne' di collezionismo), il quale non fa differenza tra la nostra Musa e chi colleziona teiere ai mercatini, o peggio ancora a chi ha collezionato ossicini di pollo o biglietti dell'autobus. Con rara maleducazione -non recepita dalla nostra icona troppo intenta a sfoderare sorrisi e a mostrare il suo abito dorato- il critico d'arte alla fine ammette di essere piu' ricco di lei: lui possiede migliaia di quadri pur essendo nullatenente. Non c'e' bisogno di possedere la Monna Lisa per goderne, afferma. E Cecilia si lancia in una sperticata difesa della sua attivita' di benefattrice. Non c'e' dubbio, gli abiti si logorano, vanno arieggiati, curati e talvolta restaurati , e quindi e' giusto che la signora si conceda un po' di riposo dando ad altri questo meraviglioso privilegio. Ma l'immagine di lei che parla di musica e' imbarazzante : "sono abbonata al Teatro Comunale di Bologna , ho l'abbonamento alla Fenice...". Quello potrei dirlo io : ho l'abbonamento al treno. Un'icona vivente dovrebbe parlare di emozioni, di sensazioni, di cultura, di bello,di eleganza e di lusso. E allora viene un sospetto: quanti soldi fanno il buon gusto ?

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