Friday, August 09, 2013

Postcards from Switzerland


Pesaro,8 agosto 2013, prova generale del Guillaume Tell (ROF 2013) L'immagine ricorrente che Vick ci presenta per il suo Guglielmo Tell e' una cinepresa : le riprese sono fatte da ufficiali che devono testimoniare- in una finzione di impeccabile letizia – una Svizzera da cartolina illustrata, a beneficio di una borghesia spensierata di inizio secolo inconsapevolmente sull'orlo del precipizio. Una barca sospesa nel nulla, con lo sfondo dipinto di un lago azzurro, e due amanti costretti a sostenerne la finzione,in un mix di menzogna calcolata e verita' casuale che si alternera' nel corso dello spettacolo. Ed e' forse il momento piu' riuscito della regia, quando la bugia diventa insostenibile e il popolo violentato in senso fisico ed emotivo si ribella a questo sradicamento dalla propria terra. E' questa la vera chiave di lettura del Guglielmo Tell di Vick, l'appartenenza alla terra, le origini, la patria, per restituire un'identita' al luogo e a se stessi. Non importa dove il dolore genera la ribellione, dove la storia si svolge e chi ne sono i protagonisti, l'importante e' ritrovare la coesione necessaria per potere riaffermare le proprie radici naturali. Non e' un caso che forse il momento piu' didascalico della regia, quando Arnold ricorda con nostalgia la presenza del padre morto, le immagini che scorrono in sottofondo sono si' quelle in bianco e nero dell'infanzia, ma sono similmente quelle in cui il figlio viene incoraggiato a toccare la terra, a farne solchi, a seminare nuove pianticelle e ad averne cura. Il contrasto -sempre stridente- tra il mondo dei ricchi e potenti e il popolo oppresso, spesso genera momenti imbarazzanti di umiliazione fisica e morale come nel caso della festa del terzo atto ,in cui l'obbligo di ballare per festeggiare un secolo di dominazione austriaca ( l'impero austriaco “degna un appoggio accordar col suo potere alla fralezza vostra”) si svolge con efferata crudelta' psicologica a volte fin troppo esibita. Meglio ricorrere nuovamente alla macchina da presa, per generare una finzione di spensierata allegria in cui nessun retroscena e' concesso e in cui l'immagine ufficiale possa essere distorta a proprio piacere. Le luci sono molto fredde, taglienti, spesso bianche e abbaglianti; a volte si crea forzatamente un'atmosfera algida e distaccata, come nella bella scena dei cavalli che nonostante il loro immobilismo riescono comunque a delimitare la "sombre foret, desert triste et sauvage" di cui parla il libretto. La liberazione da questo gelo avviene quando i muri bianchi vengono imbrattati di sangue, nella terribile immagine di un cavallo con la testa mozzata, nella distruzione del muro su cui in rosso cremisi erano state scritte le parole della rivolta. Il tutto si risolve -come per la musica- nel magnifico finale, nel quale con un perfetto coup de teatre il soffitto bianco scende verso il pavimento generando una scala rossa su cui salira' il figlio di Guglielmo. L'immagine e' pura emozione, in uno spettacolo importante e a sua volta imponente . Cast e direzione non deludono, in una buona sintonia tra palcoscenico (e quello del ROF non e' certamente semplice da gestire nelle sue proporzioni) e orchestra. La bacchetta di Mariotti riesce a tenere ritmo e azione con slancio e partecipazione, anche se forse il duetto amoroso tra Florez e la Rebeka nel secondo atto avrebbe necessitato di piu' passione e intensita'. Coro meraviglioso. Sforzi coronati da un entusiastico riscontro di pubblico, anche se gli inevitabili dissensi sull'operazione Vick erano totalmente scontati e previsti. C'e' ancora chi non capisce come una VERA regia, che possa piacere o meno, fa bene all'opera e la tiene in ottima salute. Lunga vita al ROF.

0 Comments:

Post a Comment

<< Home