Saturday, February 09, 2013

Il silenzio e' assordante (ma il rumore da' piu' fastidio)

Molti associano al silenzio gli aggettivi piu' negativi e inquietanti, come se un silenzio benefico proprio non esistesse. Cosi' rubo questo bel titolo da un articolo del Corriere della Sera per una piccola riflessione su quanto -a volte - le parole siano inutili o altrimenti necessarie. Ci sono persone capaci di esprimersi in modo talmente completo da fare apparire la conversazione come qualcosa di volgare o inopportuno. Bob Wilson,regista del Macbeth in scena in questi giorni al TCBO, riesce ad esempio a caricare il movimento e la gestualita' di significati cosi'intensi e precisi da non necessitare di altro, come se il singolo gesto, cosi' ridotto alla sua essenzialita',potesse urlare piu' forte di qualsiasi altro complemento. E qui sta la sfida: Macbeth e' un opera in rosso e nero, fosca, piena di sangue ,in cui domina il male.La sete di potere porta al delitto, il soprannaturale all'idea che esista per noi un destino segnato, la precarieta' della vita alla sua inutilita' ed incertezza ("una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla"). Quanto di piu' tragico, in una totale ambiguita' tra follia, rimorso e pentimento, trova nella regia di Wilson il suo perfetto opposto. Staticita',silenzio,luci fredde e taglienti come coltelli,gesti precisi e ieratici,si alternano in un contesto metafisico in cui il nero e il buio regnano in scena, permettendo ai personaggi di emergere come silhouettes orientali. Straordinario piacere estetico nella rappresentazione, grande inquietudine e fascinazione nello spettatore, in questo totale smembramento della psicologia dei personaggi. Si puo' essere maligni nel criticare alcune soluzioni non riuscite, come la brutta sedia sospesa nel vuoto che rappresenta il fantasma di Banco, o come l'onnipresenza del volto illuminato di una lady Macbeth che tanto ricorda la matrigna di Biancaneve o la madre eccentrica ed oppressiva della "Nemica" (nell'interpretazione impareggiabile di un Paolo Poli nel suo stato di grazia). Si rimane invece fascinati dalla stupenda scena del sonnambulismo, dalla meravigliosa parata medieval-gotica del re Duncano e dal potere di un'immagine immobile e perfetta nell'uccisione di Banco. Costumi preziosi e luci di solido impatto rendono lo spettacolo di Wilson completo, nella sua ricerca di teatro totale dove spazio tempo e azione sono perfettamente complementari. Ne conosciamo oramai i meccanismi, visto che i suoi spettacoli hanno quel marchio di fabbrica che li rendono inconfondibili e spesso un po' simili gli uni agli altri. Interessante come riescano, in ogni caso, ad oscurare voci e direzione orchestrale che dovrebbero essere la priorita' in un'opera lirica. Permettono di deliziare, nel foyer, eleganti signore, principesse kuwaitiane, imprenditori locali, addetti alla cultura e autorita' locali. E qui le parole davvero si sprecano, nel loro vuoto involucro e precarieta'. Un'ultima immagine: sul treno, sul viaggio di ritorno a casa, vedo una mamma che legge alla sua bambina "Piccole donne crescono". Lo fa con passione, enfasi, partecipazione. La bambina, distratta, segue la lettura giocando con il suo piccolo gioco elettronico. Segno dei tempi.

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