Thursday, March 29, 2012

Einstein on a (solitary) beach




La spiaggia su cui Einstein ha lasciato la sua conchiglia piena di magiche suggestioni e' rimasta solitaria per circa trent'anni. Tali sono gli anni passati dalla sua apparizione alla Biennale di Venezia , davvero troppi per sdoganare finalmente questa opera che ora appare rispolverata e pronta a riprendre il suo cammino nei teatri di mezzo mondo. Quattro ore e quaranta senza nessun intervallo. Ma si sa, allora l'avanguardia era una cosa seria. Spettacoli che duravano 10-12 ore senza interruzioni, a cui partecipare magari armati di una buona dose di tazze di caffe' (e di mezzo chilo di torta, come racconta Glass a proposito di uno spettacolo durato tutta la notte dello stesso Wilson). Erano i tempi in cui Warhol faceva film di 8 ore inquandrando l'Empire State Building,una sorta di erezione senza fine dove i cambiamenti di luce e di tempo costituivano l'unica variante, i tempi in cui Cage creava un pezzo di puro silenzio coinvolgendo l'ascoltatore in un processo primario di fruizione dell'opera d'arte. Ma le kermesse interminabili davvero si sprecavano.Peter Stein con le sue 12 ore dei Demoni dostoievskiani(battendo le 9 di Lev Dodin sullo stesso testo), Peter Brook e le sue 9 ore del Mahabharata ,e per scomodare un regista di casa nostra anche il buon Luca Ronconi e la sua Orestea di Eschilo (8 ore, presentata nel 1972). Nessun timore di stancare gli spettatori e la loro resistenza psichica. Ole'. Cosi' eccomi fiducioso nel mio teatro cittadino,sopreso in primis dalla luga coda di spettatori davanti alla biglietteria (dedico la foto all'ufficio stampa del TCBO, reo di un vergognoso lavoro nella non-promozione degli spettacoli bolognesi) e dotato ahime', di un unica bottiglietta d'acqua da mezzo litro. Nessuna Junior's Cake per allietare i momenti piu' pesanti. Il titolo e' comunque di richiamo, sono molte le persone che oramai hanno assimilato l'universo Wilson e le sue raffinatissime suggestioni (basti pensare alle sue numerose collaborazioni in ambito lirico, non ultimo il ciclo di Monteverdi alla Scala)e che apprezzano le composizioni di Glass :le sue strutture cicliche, additive e ripetitive ,combinate a precise modulazioni e cadenze, oramai avvolgono con il loro potere ipnotico e seducente anche il piu' distratto degli ascoltatori.
Ok, si entra in teatro e subito si capisce che qui si fa sul serio. E' davvero un fuoco di fila di suoni- immagini- danze- intermezzi di raccordo- parole- note- numeri numeri numeri-, e si passa da un treno ad una corte di tribunale, da un letto luminoso ad un'astronave che aleggia sui ballerini (straordinari nella loro leggerezza ed energia) per finire in una sorta di atmosfera post-nucleare all'interno dell'astronave stessa, con un rovesciamento spazio temporale che trova per fortuna la sua naturale conclusione nel momento piu' lirico e distensivo dell'intera opera. Il pubblico ne e' talvolta sopraffatto, talvolta annoiato (il sottoscritto trova la parte delle due corti di una pesantezza al limite del piombo) talvolta elettrizzato. L'atmosfera che emerge da questo percorso e' comunque di un vortice continuo, in cui l'immagine di Einstein e' puramente decorativa, che da' un senso di piacevole vertigine. I cantanti e i musicisti, esposti ad un tour di force al limite dell'impossibile, sono di una professionalita' imbarazzante e di una feroce e vertiginosa precisione. Tutto immerso in un universo di immobile riflessione, di luci soffuse, di treni che corrono nella notte senza indicarci la destinazione. E' emozionante essere presente ad una cosa che ha segnato un pezzo del mio passato, e seguirla con tutta la meraviglia che l'esecuzione dal vivo ne comporta. Sono sincero, il tempo e' passato e si vede, e meglio avrebbe giovato al pubblico una versione piu' snellita e meno compatta piuttosto di questa integrale, ma la purezza del ricordo e' intatta (sembra la pubblicita' per la cremazione, ma tant'e'). Forse all'interno di una stagione lirica avrebbe altresi' giovato la rappresentazione di una delle successive opere di Glass (Satyagraha o Akhnaten) ma e' bene che Einstein possa ancora camminare sulla sua spiaggia, con lo sguardo rivolto all'orizzonte e con chissa' quali prospettive per il futuro. Noi siamo al suo fianco, con la sua stessa curiosita' per cio' che ci attende.

Thursday, March 15, 2012

spring in my feet



Eccolo li', il mio portachiavi-sushi che penzola nel cilindretto di accensione della mia macchina. Ne sono molto orgoglioso. Primo, perche' l'ho comprato a Tokyo, e non capita tutti i giorni di andare a Tokyo a comprare un portachiavi. Secondo, e' a forma di sushi : un pezzo di gamberetto con tanto di coda se ne sta bello adagiato su di un panetto di riso. Un po' annerito, in verita', visto l'uso. Lo adoro.
In sottofondo, mentre lui ciondola di qua e di la', il nuovo disco dei Durutti Column. Pazzesco, fanno lo stesso disco da piu' di trent'anni, anche se - ahime' - non sono i soli a farlo. Bisogna solo avere voglia di ascoltarli e il gioco e' fatto : ti si appiccicano addosso creando un inevitabile sottofondo ai tuoi ricordi piu' malinconici, ai tramonti piu' infuocati, alle nostalgie piu' feroci. Come quell'estate in Sardegna, nel posto piu' infelice (e dal nome piu' infelice) di tutta la Costa Smeralda. Allora dormivo sul tavolo di cucina, per evitare di ammassarmi con gli altri nell'unica camera da letto, ed ogni mattina all'alba il Peppo mi svegliava perche' lo voleva gia' libero per la colazione. Con il senno di poi, anche questo un magnifico ricordo. Eppure mi rivedo li', sulla spiaggia oramai deserta, con i raggi obliqui del sole pronti a scomparire, ad immergermi totalmente in quel disco ipnotico estraniandomi da tutto.
C'e' un video nella mia mente, un video che non ho mai fatto. India 1991: Marco e Ilaria a Jaisalmer, appoggiati alla colonnina di un cenotafio funebre di una maharani, a guardare un deserto fatto di polvere e pecore in lontananza, abbagliati da un tramonto arancio come il colore della sabbia. Lei ha la testa appoggiata sulla spalla di lui, io sono nel retro a filmare la scena. In sottofondo "Requiem Again". Un video che non potro' mai piu' girare.
Ora,nella mia macchina, sto pensando se una delle canzoni che escono dalle casse finira' ad associarsi ad un nuovo ricordo. Forse a questa notte passata al pronto soccorso per un improvviso malessere di Emanuela,forse ad un campo profughi dove gli amici africani stanno aspettando il loro passaggio per la Kingdom Hall. Forse solo ad una stanchezza insolita, intrisa di tristezza, preludio di una primavera che gioca con le temperature cosi' come gioca con l'umore. Una primavera che si ritrova suo malgrado in una bella espressione inglese, "spring in my feet", che descrive in modo meraviglioso il mio modo un po' saltellante di camminare, come se le mie scarpe fossero dotate di molle. Magari chi mi vede da lontano, come Abigaille sull'autobus, puo' perfino pensare che sia a motivo di una spensierata felicita'.
Sarebbe davvero bello.