Sunday, December 08, 2013

Fettuccine all'Alfredo

Purtroppo la Traviata scaligera e' stata decisamente deludente. Sulla carta aveva ogni carta in regola: Gatti direttore (dopo gli enormi successi in Germania), Diana Damrau come ottimo soprano leggero, Beczala polacco emergente oramai sdoganato nei teatri piu' importanti del pianeta,Lucic baritono gradevole e soprattutto un regista molto innovativo,Dmitri Tcherniakov, che avevo apprezzato in due bellissime rappresentazioni di Macbeth e Les Dialogues des Carmelites . Tutto a gambe all'aria. Con una riflessione. Non sono bravissimo a mettere a fuoco il genio, spesso lo sottovaluto o peggio ancora non lo capisco. Ho preso diversi svarioni nel corso della mia vita da spettatore, pensando male di Flowers di Lindsay Kemp o dei primi spettacoli di danza di William Forsythe, cose che poi ho rivalutato come autentici capolavori. Devo riflettere,capire,meditare. Cosi', anche nelle cose che mi appaiono bruttissime mi trovo ora disposto al dialogo, alla ricerca di una motivazione, di una spiegazione razionale capace di farmi cambiare opinione. Eppure, ci sono cose che proprio non capisco. E non le capisco per cultura. Non riesco ad entrare nella profonda violenza dei film asiatici, nella ieraticita' di quelli coreani, nei silenzi di quelli giapponesi. Non capisco una Traviata fondamentalmente russa, con le vetrate che paiono affacciarsi non sui tetti di Parigi ma su quelli di Kiev. E non sto parlando delle brutte scelte registiche,anche se sono onnipresenti. Gli orrendi vestiti delle feste di Flora cosi' come quelli della protagonista che rimbalzano da un'epoca all'altra (dalle onde anni 20 alle parrucche ricciolute anni 80 stile Minnie Minoprio), le piume stile Toro Seduto che fanno pendant in una sorta di concerto alla Village People con il marinaretto-cameriere a torso nudo, le ciabattine con piume di struzzo che invece fanno a cazzotti con le babbucce da nonna con il pelo nel secondo atto (trionfo del kitch, con la pasta da stendere, le verdure da tagliare, e gli angioletti natalizi appesi al lampadario). Per non parlare di un'Annina -Vanna Marchi con i capelli rossi alla Ferre', di un Germont imbalsamato e monocorde come mai era successo, di un Alfredo che impacciato offre un mazzolin di fiori e i pasticcini ad una Violetta che piu' di morire di tisi sembra abbia una crisi di cirrosi epatica. Queste sono solo cose brutte. No, non sto pensando a questo. Sto pensando perche' un regista capace di regie fluide e piene di suggestioni cinematografiche (bellissima davvero la mano di Annina tesa a cacciare via gli uomini dalla casa di Violetta, loro vittima), o di curiose invenzioni drammaturgiche (tutto il monologo di Violetta del primo atto finisce in realta' ad essere un dialogo tra due donne sulla vanita' e assurdita' dell'amore, credibilissimo, o la festa di Flora dove gli amici prima ipocritamente consolano Alfredo della fine del suo amore, e poi lo mettono al centro delle loro crudeli messinscena ) finisce a richiedere una recitazione cosi' tremendamente al di sopra delle righe. Tutti i dialoghi sono esasperati, nessuno che guarda negli occhi dell'altro (tremenda la Violetta che guarda il lampadario mentre Alfredo le rivela di amarla), ogni azione e' ostentata, caricata, sproporzionata al luogo o alla circostanza, isterica, inopportuna e imbarazzante. A volte tristemente comica . Non si puo', ripeto, non si puo' tagliare zucchine e sedani dopo aver saputo della dipartita dell'amata. Non si puo' andare in escandescenze ad ogni frase che deve generare solo un minimo turbamento, non si puo' trasformare una malattia debilitante come la tisi in un'occasione per farsi l'ennesima sbornia. Chi se ne frega se Violetta muore su una sedia anziche' su un letto, ma e' bene che muoia sofferente, in preda ad un dolore atroce fisico e spirituale, non mentre istericamente ingurgita pastiglie e liquore e ingaggia un ultimo folle balletto. Buffo come perfino la Damrau, che esce comunque a testa alta dalla serata, non riesce a primeggiare per quello che e' : un soprano leggero, capace di fare scintille nel finale del primo atto. Qui il mi bemolle arriva stiracchiato e insicuro. Che sia vittima della regia, come del resto tutti i protagonisti, si intuisce fin dalla prima scena, ma che sia in debito con la sua stessa voce davvero e' un po' imbarazzante. Beczala, ahime', non e' piaciuto ai piu'. Forse perche', come suggerisce il buon Gargano, se non sei figlio di Corelli alla Scala nun te possono vede',ma anche per la sua totale inadeguatezza nel ruolo. Lucic stenco come una statua e monocorde. La Zampieri no comment. Gatti...come puo' dirigere una Traviata con tempi cosi' inadeguati ? Anche lui cede alla tentazione di assecondare una regia in cui ogni frase ha una valenza quasi "fisica", e quindi rallenta tutto all'inverosimile, ma Verdi non e' Wagner, e mai si era ascoltata (e vista) una festa di Flora nel secondo atto cosi' moscia e funerea. Al contrario quando parte Germont padre con la sua cabaletta (sempre che qualcuno l'abbia ascoltata, visto che tutti eravamo sotto shock nel vedere Alfredo con il mattarello a fare la pasta...forse le fettuccine all'Alfredo ? Magari con la Clerici in tv a dargli suggerimenti...) pesta decisamente sull'acceleratore, facendo perdere di spessore la pagina musicale. Insomma, non ho messo a fuoco quello che forse poteva salvarsi. Ma stavolta davvero non credo che i fischi siano arrivati dai "soliti talebani", cosi' come Lissner ama definirli, e che a volte come nel recente Ballo in maschera di Michieletto hanno decisamente passato il segno. Qui basta avere nelle orecchie le voci della Scotto o di Di Stefano. Non scomodiamo Visconti, per carita'. Cosa mi sfugge ? Cosa davvero non ho capito ?