Thursday, August 16, 2012

L'avere un cor di ferro a nulla giova

ROF 2012 // . Le immagini piu' belle che accompagnano ogni mio rientro da Pesaro- la notte di Ferragosto- sono il castello di Gradara illuminato dal basso e i fuochi d'artificio sulla spiaggia di Gabicce. Meravigliosa cornice ad un'autostrada quasi deserta che scorre silenziosa verso la via di casa. Quest'anno avrei potuto aumentare il piacere della notte di mezz'estate con il concerto di Sandy Marton,ma gia' ho dato al vintage con la Rettore e la sua "Lamette" pochi giorni fa alla Fiera di San Lazzaro (rischiando pure il bis la sera successiva con Cristina D'Avena). Suvvia, stiamo ritornando dal ROF, e People From Ibiza non si addice alla cornice preziosa del festival, che quest'anno rischia pure di essere seppellito da un'overdose di complimenti. I detrattori nascosti dietro l'angolo - quelli che la Rancatore non esitava a definire "terroristi"- non vedono l'ora di approfittarne, compiacendosi anche di questa allergia all'elogio che da un po' di tempo serpeggia su qualche giornale locale. Peccato, perche' i teatri non solo sono pieni di un pubblico interessato e interessante da ogni parte del pianeta, ma gli spettacoli proposti offrono sempre quanto di piu' stellare possa offrire il repertorio rossiniano. Che ha una croce e delizia da portare sulle spalle: la necessita' di eseguire ogni opera del pesarese, incluse quelle (come nel caso del Ciro in Babilonia) che proprio straordinarie non sono. Recitativi infiniti al limite del soporifero, una totale assenza di drammaturgia, e -dovendo fornire ad ogni cantante in scena almeno un'aria- incredibilmente lunga. Rossini diciannovenne pero' genio era e genio sarebbe rimasto, e tra le righe si ascoltano pagine straordinarie che ancora fanno emozionare e stupire. Le prime parti valorizzate in pieno (come non menzionare le arie introdotte dal fagotto o dal violino qui eseguite da un'Orchestra di Bologna al meglio della sua forma ?), il solito fiume in piena delle colorature da sciorinarsi vorticosamente, incredibili saliscendi tra un'ottava e l'altra che costringono il tenore a comportarsi da baritono e cosi' similmente il contralto. Il lessico di Rossini e' qui gia' presente: il momento del pensiero opposto a quello dell'azione (ripreso da Livermore immergendo i cantanti in una luce rossa che si staglia sul bianco e nero della scena, e che permette tramite un fermo immagine di esaltarne l'intensita'),i colori strumentali, l' accentuazione delle successioni con il celebre uso del crescendo e cosi' via. Ci troviamo pero' ben lontani dai risultati successivi, e per fortuna la regia crea quello che l'opera non possiede. Si inventa una nuova storia, in cui un pubblico di spettatori all'inizio del secolo si trova sempre piu' immerso nella proiezione di un colossal stile Cabiria, seguendone le storie, i sentimenti dei protagonisti, partecipandone poi anche in prima persona. L'immagine del film muto e' fascinosa: c'e' tutto il suo armamentario di didascalie, finta usura della pellicola, primi piani ad occhi sgranati, e soprattutto uno straordinario impiego di splendidi abiti bianco e nero anni 15-20 che rendono preziosissimo l'allestimento. Lo si e' notato in modo particolare nella diretta televisiva, in cui ogni particolare veniva esaltato dalle riprese ravvicinate. Cantanti splendidi, tra cui un Michael Spyres eccellente nella scena della pazzia, una magica Podles (classe 1952) che arriva a note cosi' gravi da domandarsi da dove arrivi la voce, e una prorompente (di seno e acuti) Pratt che scatena forse gli applausi piu' sinceri. Spyres appare autoritario e crudele in scena, e quasi un ragazzino al ristorantino del teatro, dove si concede una cena in compagnia di giovanissimi amici. Questa magia di ritrovare persone normali al di la' dell'aura di divismo (basti pensare al buon Mariotti che mi ha salutato con tanto di baci e una sincera voglia di rivedermi) mi lascia ogni volta piacevolmente colpito. Con i riflettori spenti ognuno torna se stesso, a volte perfino piu' vulnerabile e solo. Bordogna torna a baciare il suo cagnolino che lo slinguazza dappertutto, Mariotti e' felice di una ritrovata intesa di orchestra e solisti (e di una futura consorte che ha il merito di possedere una rara bellezza e bravura ),i coristi in braghine corte pensano a come passare il Ferragosto. E poi arriva lui. Mettilo anche in mutande, ma immenso e' e immenso rimane. Juan Diego, solo soletto senza moglie, che arriva stanco dopo una performance di Matilde di Shabran che ha del miracoloso. Gli chiedo una foto, lo fa per rispetto a Emanuela che suona in Orchestra. E il miracolo avviene due volte: sono venuto quasi bene, e' una foto davvero bella che esalta il piacere della serata. Chissa' se i giornalisti, i critici musicali, gli spietati cattivi cattivissimi che si muovono biliosi dietro le quinte hanno una simile percezione di questo lato cosi' umano. Ma come insegna la lezione di Corradino, l'avere un cor di ferro a nulla giova...

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